Rapporto di lavoro con i familiari

Nel nostro ordinamento non ci sono regole che vietano l’assunzione di un familiare in azienda.

Secondo l’orientamento prevalente, il lavoro tra familiari può essere ricondotto nell’ambito dei rapporti associativi, poiché il rapporto trova origine nel vincolo familiare.

Tuttavia, bisogna fare una distinzione a seconda che il lavoro prestato dal familiare sia di tipo occasionale e quindi gratuito, oppure se sia configurabile un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.

Secondo l’INPS (Circ. 179/1989) nel caso in cui i soggetti del rapporto di lavoro siano coniugi, parenti entro il 3° grado ed affini entro il 2° grado conviventi con il datore di lavoro, il rapporto si presume gratuito e quindi è escluso l’obbligo assicurativo, a meno che le parti non forniscono prove specifiche dell’onerosità della prestazione della sua natura subordinata.

Anche secondo la giurisprudenza il legame di parentela che lega i soggetti di cui sopra giustifica la c.d. presunzione di gratuità della prestazione, mentre nell’ipotesi di soggetti non conviventi con il datore di lavoro, questa presunzione non sembra sussistere e cede il passo a quella di normale onerosità della prestazione, salvo prova contraria.

Rapporto di lavoro occasionale con i familiari

La prestazione si considera gratuita quando viene eseguita occasionalmente dai familiari conviventi con l’imprenditore per il buon funzionamento della famiglia. L’attività lavorativa viene eseguita   spontaneamente o per adempiere a quelli che sono i doveri familiari e trova il proprio fondamento nel rapporto affettivo e di solidarietà che lega i membri della famiglia.

In questi casi, il familiare dell’imprenditore non ha diritto alla retribuzione né alla tutela previdenziale.

Il Ministero del Lavoro con la Lettera circolare del 10 giugno 2013 prot. n. 37/0010478, ha affermato che per lavoro occasionale del familiare si intende quello caratterizzato dalla non sistematicità e stabilità dei compiti espletati, non integrante comportamenti di tipo abituale e prevalente nell’ambito della gestione e del funzionamento dell’impresa.

In più la circolare fissa a 90 giorni la durata massima della prestazione occasionale del familiare, ossia 720 ore nel corso dell’anno solare.

La prestazione è da considerarsi sempre occasionale in caso di:

  • Prestazioni rese da familiare pensionato;
  • Prestazioni rese da familiare assunto a tempo pieno presso altro datore di lavoro;
  • Prestazioni rese nell’ambito quantitativo di 90 giorni nell’anno solare ovvero 720 ore all’anno.

Il limite dei 90 giorni tuttavia, non è vincolante in quanto si tratta di un parametro esclusivamente orientativo.

Per gli imprenditori artigiani invece, l’art. 21, co. 6 ter del D.L. n. 269/2003 conv. da L. n. 326/2003, afferma che “gli imprenditori artigiani iscritti nei relativi albi provinciali possono avvalersi, in deroga alla normativa previdenziale vigente di collaborazioni occasionali di parenti entro il terzo grado, aventi anche il titolo di studente per un periodo complessivo nel corso dell’anno non superiore a novanta giorni “.

La norma prosegue, inoltre, evidenziando che le collaborazioni debbano avere “carattere di aiuto, a titolo di obbligazione morale”, ovvero senza corresponsione alcuna di compensi ed essere rese nel caso di temporanea impossibilità dell’imprenditore artigiano all’espletamento della propria attività lavorativa.

Resta ferma, tuttavia, per tale settore, la necessaria iscrizione all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ex D.P.R. n.1124/1965 (art. 21, comma 6 ter).

Per gli imprenditori commerciali invece, data la mancanza di disposizioni a riguardo, tale obbligo sussiste solo in caso di prestazioni familiari prestate con carattere di abitualità e prevalenza.

Rapporto di lavoro subordinato con i familiari

Il familiare del datore di lavoro può prestare la propria attività lavorativa anche in forma subordinata.

Requisiti fondamentali della subordinazione sono: l’onerosità della prestazione, la presenza costante presso il luogo di lavoro, l’osservanza di un orario definito, l’esercizio del potere direttivo e organizzativo da parte del datore di lavoro e la corresponsione di un compenso mensile. Nel nostro ordinamento infatti, principio generale è quello dell’onerosità della prestazione lavorativa.

Tuttavia, nel corso degli anni l’INPS ha sostenuto più volte la gratuità delle prestazioni svolte dai familiari dei datori di lavoro. Orientamento basato sul fatto che secondo l’istituto il rapporto di lavoro subordinato con il familiare è fittizio e pretestuoso in quanto posto in essere solo per garantire al dipendente i contributi previdenziali e, dunque, la maturazione dei requisiti pensionistici.

Sul punto è intervenuta una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. sent. N. 4535 del 27.02.2018) secondo cui può esistere tra familiari un rapporto di lavoro subordinato qualora sussistano gli indici oggettivi propri del rapporto di lavoro subordinato. Orientamento che è stato poi confermato anche dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro, secondo i quali spetta agli ispettori dimostrare che il rapporto di lavoro tra i familiari non esiste ed è svolto a titolo gratuito, ovvero, che il datore di lavoro non esercita i suoi poteri nei confronti del dipendente-familiare.

L’impresa familiare

Un’altra tipologia di lavoro che può esistere tra familiari è quella che si ha all’interno dell’impresa familiare, il cui presupposto è quello della costituzione di una impresa che, oltre all’imprenditore che è il titolare, coinvolge anche un suo familiare. L’istituto dell’impresa familiare è disciplinato nell’art. 230 bis e 230 ter del Codice civile.

Secondo tale articolo si può parlare di impresa familiare quando il familiare presta la sua attività di lavoro in modo continuativo nell’impresa o nella famiglia.

In questo caso il familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.

Tutte le prestazioni lavorative svolte dal coniuge, parente o affine all’interno dell’impresa familiare, sono prive di tutela previdenziale tranne nel caso in cui sussistano i requisiti del lavoro dipendente o della collaborazione coordinata o continuativa.